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Giocare ci rende scemi?

Se ci fosse stata un’apocalisse in stile The Day After Tomorrow, da piccini ci sarebbe stato un unico posto dove avremmo voluto restare bloccati: il negozio di giocattoli era il luogo ameno della nostra infanzia (poco importa se non c’erano abbastanza viveri per la sopravvivenza).

Per gioco, dal latino iŏcus «scherzo, burla», si intende un’attività liberamente scelta in cui vengono messe in pratica capacità fisiche, psichiche e intellettive senza stabilire fini immediati. Le regole del gioco sono spesso estemporanee, e i mondi che il gioco crea difficilmente ripetibili (quando giochiamo, ogni avventura segue bivi imprevedibili).

Eppure, forse qualcosa nel gioco limita l’esperienza della creazione: quanto i giocattoli ripropongono gli schemi del mondo adulto?

Come scrive Roland Barthes in un saggio all’interno di “Miti d’oggi”, il giocattolo “significa sempre qualcosa” e questo qualcosa riguarda i miti della vita adulta: siamo Barbie che va in vacanza nella sua macchina scintillante, una brava donna di casa che cucina nella sua micro cucina, un pilota di Formula Uno che corre con le macchine, oppure un astronauta pronto per viaggi interspaziali.

Il fatto è che molti giochi prefigurano già un universo dove le funzioni dell’adulto sono stabilite, e preparano in qualche maniera il bambino ad anticipare quei lavori (sono quasi sempre lavori, produttivi o riproduttivi) che andrà a praticare una volta cresciuto.

Viene da chiedersi: quanto siamo liberi di giocare, di inventare, e quanto il modo in cui i nostri giocattoli significano ci incanalano in ruoli stabiliti?

Se il bambino viene pensato più come un utente che un creatore, quanto lo rendiamo capace di utilizzare il mondo anziché di inventarlo?

Giocare ci rende scemi?

Forse, come scrive Barthes, “il fatto che i giocattoli prefigurino l’universo delle funzioni adulte può solo, evidentemente, preparare il bambino ad accettarle tutte”.

Con Mamma Studio, per non cadere nella trappola delle prefigurazioni stabilite, teniamo a mente quello che ricordava Bruno Munari sulla fantasia, ovvero la facoltà che permette di pensare a tutto ciò che non esiste, anche se assurdo e irrealizzabile. Giocare senza postulati è fondamentale perché più relazioni si stabiliscono tra quello che conosciamo e la fantasia, più si riuscirà a creare qualcosa di veramente creativo.