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A spasso su Tinder

Quando siamo in gruppo e ci annoiamo, io e una mia amica andiamo su Tinder e poi su Vinted. Andiamo letteralmente, transitiamo in queste località virtuali pensando a come potremmo stare con un tipo nuovo o un abito nuovo, e il barboso mondo circostante scompare (ehi, l’economia dell’attenzione può essere meno nociva dell’ennesimo gin tonic).

Il nostro non è affatto doomscrolling ma un processo attivo che esercitiamo attraverso una serie di interventi di inclusione ed esclusione, secondo una modalità ludica mai neutrale, che serve invece a operare una distinzione sociale, una definizione del sé.

L’obiettivo non è andare a letto con tutti i bonazzi a cui mettiamo il like (solo alcuni), né tantomeno acquistare capi usati a 180 euro l’uno (forse sto mentendo) ma fare una passeggiata (ehi che noia qui, facciamo una passeggiata?), camminare come delle flâneur borghesi nei corridoi delle app digitali, distinguere con la nostra preferenza espressa dal like cosa ci rappresenta, cosa ci differenzia dalla massa (non siamo quelle che mettono scarpe con il plateau carro armato da 7 cm, non siamo quelle attirate dal topos del tizio che fa le verticali in spiaggia).

I like che mettiamo non sono un esercizio di consumo meramente edonista (desiderio acritico e morboso di ogni cosa che ci piace) ma di distinzione, per dirla alla Bourdieu: c’è in ballo soprattutto la possibilità di poter rinunciare al desiderio di possedere ciò che viene proposto, vedere senza acquistare.

Le passeggiate borghesi digitali con la mia amica sono piuttosto innocue (a patto che la serata sia abbastanza corta da non rischiare scialacquare tutti i nostri risparmi), ma mettono in luce un modo di interagire con le app delle cose.

Saltare da Tinder a Vinted non è del tutto casuale, ma un gesto orientato anche da una funzione voluta delle applicazioni (scorrimento infinito, feed personalizzato) che è ormai standarizzato nella progettazione UI/UX.

I nostri like passano facilmente da un app all’altra creando un repertorio di possibilità distintive che demercificano il possibile atto del consumo e lo amplificano: il like non è un atto materiale ma un flusso continuo di fantasia, ipotesi, considerazioni, analisi, congetture che si espande in un’unica grande app e in un’unica grande vita.

Un continuum attraverso cui decodifichiamo, riconosciamo, distinguiamo identità e modelli in un caleidoscopico di possibilità targhettizzate ma mutevoli, intersecate su più piani di realtà.

Nelle mie passeggiate digitali posso trovare un paio di scarpe che mi piacciono su Vinted e ricordarmi che ne avevo un paio simili, una volta, a Roma, ricordarmi un giorno soleggiato in cui le indossavo, ero con le mie amiche: dove andavamo? devo stampare più foto o perderò la memoria, come si chiamano quei tipi che hanno aperto un negozio di stampe?, apro Instagram per cercarli, mi imbatto su un video di Trump che caga sui manifestanti, invio il video su Whatsapp, che coglione!, vedo una notifica di un’amica che mi gira un link di un articolo, ci parlo, ma te c’eri quella volta a Roma? Quando? Oggi sono stata alla manifestazione…, ecc. ecc. ecc.

Sono intuizioni imprevedibili, in cui i dati (tutti) cooperano alla creazione di strade piene di interazioni.

In questa ricerca scientifica, un’osservazione degna di nota è che la dipendenza da Instagram è causata dai bisogni degli individui di orientamento e comprensione, mentre l’intrattenimento rappresenta una motivazione secondaria.

I social media sono così integrati nella vita quotidiana degli utenti da non essere utilizzati tanto per passare il tempo, quanto per soddisfare bisogni sociali e informativi.

Se è vero che le applicazioni sono studiate per catturare la nostra attenzione, per saturare i nostri gusti, e il rischio di dipendenza è reale, è anche vero che devono restare abbastanza aperte da accogliere e seguire il serpeggiare di una mente sempre più ultra- stimolata e sfuggente.

Se ciò che proviamo dipende dalla velocità di interazioni dei dati nel virtuale, anche i dati dipendono dal nostro personalissimo mondo matto.