Siamo soliti immaginare la guerra soltanto come ad un insieme di pratiche violente, ma la guerra vive di una cultura comunicativa che predispone un terreno linguistico atto a giustificarla, sorreggerla, promuoverla.
Che tipo di discorsi accreditano certe azioni?
Qual è oggi il ruolo della comunicazione di guerra?
La comunicazione di guerra è da sempre uno di quegli spazi bizzarri, capaci di riconvertire il significato di molte parole, disturbarne il senso primo e portarlo ad una deformazione mostruosa, parossistica. È lo spazio dove la retorica mette in scena il peggio di sé.
Nel libro Campagne di guerra, 150 anni di comunicazione, pubblicità, propaganda di Giuseppe Mazza, l’autore ripercorre il 150 anni di comunicazione mediatica di guerra.
Mazza vede l’inizio della guerra come discorso nel momento successivo all’uccisione di Achille: sarà Odisseo, e non il guerriero Aiace, a vincere lo scontro per l’eredità, grazie alle sue doti dialettiche.
La violenza cade al servizio della parola. Il discorso di guerra diventa più importante della guerra stessa.
Con la lingua, la guerra prende vita attraverso le forme retoriche che la raccontano. Iperboli, ossimori, sineddoche sono alcuni degli elementi imprescindibili nel linguaggio di guerra moderno.
Oltre alle espressioni letterarie, nel discorso di guerra si è soliti non ammettere avversari ma solo nemici. La scelta è biblica: il bene o il male, noi o loro.
Un aut-aut che acclama la totale sottomissione, la distruzione dell’altro come necessità irrevocabile.
Quello che ci difende di nuovo dalla sovrimpressione di significati distruttivi, è la nostra capacità di prestare attenzione alle parole, difendere a quelle che ci vengono strappate.
Non rinunciare a “democrazia”, “pace”, “amore”. Rifiutare queste parole quando usate in senso corrotto: “esportare la democrazia”, fare “guerra per la pace”, vivere di “amore per la patria”.
Non rinunciare a comunicare il bene, la gentilezza, la comunione tra le persone. Non sentirci ridicoli o sognatori nel farlo.
Come Mamma Studio ci preoccupiamo di fare Comunicazione Sensibile perché, come agenzia di comunicazione creativa, ci piace sostenere quei progetti capaci di credere che il mondo non è ancora un bel posto, e vale la pena lottare per esso.
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