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La violenza sulle donne possiamo dirla meglio

Non è passato molto tempo dal discorso di Gino Cecchettin, fatto durante il funerale di Giulia. È commovente pensare ad un uomo che in un momento simile ha avuto il coraggio di parlare della morte della figlia come il risultato di una cultura che costantemente svilisce la vita delle donne, qualcosa che inizia al di là della sua specifica storia personale.

Parliamo agli altri maschi che conosciamo sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali”

Sappiamo che l’omicidio di Giulia ci ha toccato più di altri grazie all’intervento dei suoi familiari, che hanno avuto la forza di trasformare il dolore in un atto politico.

Oltre a questo caso – che è emerso dal particolarismo soprattutto per la volontà dei diretti interessati – vale la pena chiedersi: come stanno le narrazioni sui femminicidi? Come comunichiamo la violenza di genere e come se ne stanno occupando le istituzioni?

I dati ISTAT ci dimostrano come dal 1992 sono in calo gli omicidi legati al genere maschile, mentre restano praticamente invariati quelli delle donne.

Nonostante questo dato preoccupante – che non riguarda certo solo l’Italia – nel 2023 il governo Meloni ha tagliato il 70% delle risorse per la prevenzione della violenza contro le donne.

Sempre stando al sito dell’Istituto Nazionale di Ricerca Istat, le campagne di sensibilizzazione attive e promosse dal Ministero della Pari Opportunità dovrebbero essere diverse per dare “il messaggio che una società libera dalla violenza e dagli stereotipi di genere è una società migliore”. Facendo un breve controllo sul web della comunicazione promossa dalle regioni o dai ministeri, ci si rende conto che la realtà è molto diversa: pochi esempi, spesso raccontati male o in modo ripetitivo.

Nella ripetitività si finisce per utilizzare troppe volte degli archetipi che producono un’abitudine visiva, una griglia di significati che automaticamente sappiamo interpretare. Questi personaggi fortemente stereotipati, solitamente utilizzati dalla cronaca nera per creare dicotomie e sensazionalismi, sono alla lunga incapaci di suscitare una reale riflessione che esca dall’input inteso nel messaggio della campagna di comunicazione.

Sono personaggi chiusi, introflessi, spesso raccontati soli, la cui violenza è costruita unicamente attorno ad un’evidenza fisica o verbale (i volti tumefatti, l’aggressività linguistica), in un dopo temporale che non ci dice niente dell’intorno, di cosa ci poteva essere prima, di quali sono le relazioni tra loro e gli altri.

Le campagne istituzionali portano a descrivere la violenza come peculiare e legata all’individuo. Spesso, inoltre, la vittima viene descritta capace di decodificare ed identificare la sua condizione.

Le leve principali utilizzate sono:

  • Identificazione del destinatario come una vittima consapevole
  • Musiche e toni drammatici
  • Utilizzo della seconda persona e dell’imperativo (fa, chiama, segui, ecc.)
  • Volti tumefatti, donne mute
  • Testimonial che offrono una soluzione con tono compassionevole

E le poche volte che non parlano alle vittime, non sembrano proprio calarsi nei panni di quello che un uomo violento vivrebbe su di sé….

Forse vale la pena chiedersi: possiamo parlare in modo più complesso della violenza? A quali altri interlocutori dovremmo rivolgerci? C’è modo di raccontare l’universo di relazioni e un quotidiano dove la violenza non è ancora messa in atto? Cosa tende ad unire coppie violente e come potremmo dirlo? Se ci riferissimo ad altri attori, e non al micro universo della coppia, che storia ascolterebbero? Non sono anche loro attori a cui vale la pena parlare, ascoltatori anche più facilmente influenzabili, dato che non sono primi interpreti di un meccanismo di abuso?

Per immaginare una buona comunicazione dobbiamo pensare ad un ecosistema di possibilità: non solo le donne direttamente coinvolte, e non solo il momento in cui la violenza si fa esacerbata.

Per fare in modo che la comunicazione non diventi stereotipata, sempre uguale a se stessa e in definitiva incapace di essere sensibile, incapace di moltiplicare il suo messaggio, facciamoci più domande.